NOTE BIOGRAFICHE: Mostra e testo a cura di Giusy Caroppo “Art as Idea as Idea”: arte come l’idea di un’idea. Lo affermava Joseph Kosuth, pioniere dell’arte concettuale e installativa, mentre Sol LeWitt portava la riduzione della forma ai suoi termini minimali, mantenendo tuttavia una stretta relazione tra gli elementi dell’opera. Ada Costa incontra Sol Lewit negli anni ’70, durante una conferenza-spettacolo da Marilena Bonomo a Bari, per poi assistere alla composizione di segni neri di matita su un muro, bianco d’intonaco, a Spoleto. Indaga queste ricerche parallelamente a quella di Giulio Paolini, folgorata - sempre a Bari - dall’opera/performance “Omero”; ed ancora, ascolta la fascinazione minimale delle unità geometriche elementari di produzione industriale di Carl Andre e soprattutto assimila le associazioni narrative di John Baldessari. Ada Costa nasce figlia di questi presupposti teorici, muovendo da un’idea estremamente chiara, limpida; e la concretizza utilizzando un materiale la cui percezione volumetrica e sostanziale Ë vicina all’immaterialità mentale dell’idea: IL VETRO. Per lei, inoltre, come per Max Bense, ''l'opera d'arte viene concepita come informazione. O pi_ precisamente come supporto di una particolare informazione: l'informazione estetica…” Un’informazione costituita di segni che a loro volta costituiscono insiemi, siano essi strutture o configurazioni, per un’informazione estetica a carattere strutturale o configurazionale, “gestaltico”. » attraverso queste peregrinazioni teoriche, questi capisaldi, che il concetto di “trasparenza” - l’ “idea” - si trasfigura nell’opera installativa di Ada Costa e si fa “informazione”: rappresenta, sceglie, allude, indica, relaziona settori diversi mediante allusioni intuitive e segniche, che appartengono alla sua storia ma sono comunque e sempre riconoscibili da chiunque. Genera una volumetria complessa che è sostanzialmente SENZACHIAROSCURI per la peculiarità del materiale usato, attraversabile dalla luce cui non fa schermo, ma soprattutto perchè comprensibile grazie all’essenzialità delle forme elementari che riproduce, per l’universale intelligibilità del messaggio. Lo spazio è concepito come fattore essenziale dell’opera, occupato secondo uno sviluppo longitudinale con una scultura effimera che se ne appropria con discrezione, sposandosi al bianco totale dell’ambiente, e insieme mostra la sua imponenza. » un dialogo sottile con i concetti fondamentali di informazione, legalità, responsabilità, innovazione, etica e – soprattutto - partecipazione: sarà l’astante a fare l’opera con la sua visione e lettura soggettiva, seguendo la sollecitazione attenta dell’artista. » un’opera che vive del linguaggio evocativo che è proprio di Ada Costa: sono “sue” le icone strutturali e nude di natura geometrica, sono “suoi” i frammenti di specchi che sfondano lo spazio generando meraviglia, come “suoi” sono i purpurei raggi laser che misurano le dimensioni e congiungono la terra al cielo, sempre suoi gli emicicli che concorrono a formare un luminoso giardino ideale, fiorito ai piedi del dinamico e solare wall drowing permanente di Soll LeWitt: qui sotto la contemporaneità è siglata dalle sonorità interattive di EraSer, ispirate al circuit bending, suoni elettronici appena percettibili nell'immenso paesaggio sonoro, modulati secondo intense linee melodiche. Nella e dalla sala Murat, è così che l’opera di Ada Costa vuole sincronizzarsi con la realtà della vita. GIUSY CAROPPO
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