FORTEZZA SVEVO ANGIOINA DI LUCERA

 

LUOGO: INTERNO MURA DELLA FORTEZZA DI LUCERA - TORRE DELLA REGINA

 

 MARIA TERESA HINCAPIE (Armenia/Colombia, 1954.Vive a Bogotà)

 

Artista e performer, indaga il tema della spiritualità con un approccio multiculturale. Dal 1978 approfondisce la conoscenza delle culture europee ed orientali, in relazione alle tecniche di danza rituale e arte drammatica; lavora a trasposizioni dal teatro greco antico (“Edipo Re” di Sofocle) o ispirate alla letteratura contemporanea (Ondina, con un tributo a Garcia Lorca), producendo opere inedite (“Una Cosa es Una Cosa”) per cui è invitata a Forum internazionali come esponente dell’identità culturale latino-americana. A metà degli anni ’90 realizza progetti multimediali e performance, spesso itineranti, impegnandosi anche socialmente per le pari opportunità. Nel 2000 è per la prima volta in Italia con “Stanze Segreti” (“Sueños de Flor-Flower Dreams”). Nel 2002 realizza “El Espacio se Mueve Despacio” (Space Moves Slowly) con cui conquista il “Grant awarded by the Ministry of Culture” di Colombia. Oltre a numerosi premi internazionali, è stata ordinata “Grande Cavaliered al Gobernación de Armenia” e menzionata al “Luis Caballero Award”.

 “El espacio se mueve despacio” (“Lo spazio si muove lento”, 2004) è un progetto che ha richiesto tre anni di lavoro, ispirato dal rifiuto della frenesia della vita urbana, delle sue limitazioni come delle sue comodità, al quale si contrappone la tranquilità della natura. Maria Teresa decide realmente di trasferirsi in campagna, in Sierra Nevada-Santa Marta in compagnia di animali da fattoria. Anche qui la vita appare difficile: è una zona infestata da venditori di coca e guerriglieri paramilitari. Ma il dolore dell’artista è addolcito dalla bellezza della natura e dal tempo che scorre lento. Per questo decide di produrre un’opera multimediale che possa trasmettere questa pace e tranquillità al mondo intero: con la danza, la parola, con la musica del figlio compositore, Santiago Zuluaga,  e con lo sfondo delle immagini tratte dal film di cultura islamica  “Baraka” (“Vento di vita”) di Ron Fricke, in cui scorrono immagini che riportano al tempio di Gerusalemme come alla guerra in Kuwaitt, immagini di rituali religiosi sacri ed ancestrali orientali, dalla preistoria ai giorni nostri. In un’atmosfera adombrata da tempio new age, Maria Teresa Hincapie dà vita ad una struggente video-performance nella penombra illuminata da candele;  l’artista evolve lentissima nello spazio con timidi passi di danza, tra soavi note di chitarre, candele e incenso, per finire tra le sbarre di un carcere immateriale, l’ombra di una gabbietta per uccelli proiettata sul muro. IL progetto, della durata di 24 ore, è stato presentato  - ridotto in tre giornate - alla 51a Biennale di Venezia negli spazi dell’Arsenale nella sezione “Sempre più lontano” a cura di Rosa Martinez.

Con il suggestivo sfondo delle mura della Fortezza di Lucera, viene prodotto un video inedito dell’azione performativa dell’artista, che rimarrà visionabile dal pubblico per tutta la durata della mostra.

LUOGO: TORRE DELLA REGINA

  INNOCENTE (Verona, 1958. Vive a Verona)

 

Per l’arte di Innocente sono stati spesi neologismi quali “super oggettività del soggetto”, “neo oggettistica”, “neo nunc. Sulla scia delle avanguardie storiche, Innocente è partito dal bisogno proprio di ogni artista di “dichiarare la propria responsabilità, un proprio giudizio sulle cose” (ABO), ma facendolo da flaneur, da uomo che passeggia senza scopo tra oggetti e luoghi carichi di tempo e di storia. Da buon flaneur getta uno sguardo su quegli oggetti, luoghi e persone, riducendoli a immagini che rivivono come pura e semplice verità. Con lo stesso spirito Innocente conduce lo spettatore a fermarsi davanti a un segno, una foto, un oggetto che ognuno è indotto poi ad evocare nel proprio vissuto. Come in “Lettere della memoria” (2004), un’installazione dedicata alla vitalità creativa del ricordo, costruita da 48 piastrelle di piombo disposte sul pavimento, in cui il numero di ognuna coincide con gli anni dell’artista e reca un’immagine fotografica, un volto o un documento del nostro passato, più o meno recente. Innocente ha partecipato a mostre personali e collettive di grande rilievo in Italia e all’estero, dall’inserimento della sua mela-neon nel manifesto “Proposte luminose” dell’Atelier A di Parigi all’installazione permanente alla “ Stazione Mater Dei” nella Metropolitana di Napoli. Suoi lavori fanno parte di collezioni pubbliche, come il MART di Rovereto, e private com la Collezione Stuyvesant.

 

“Tredici” è il titolo e il numero delle figure di marmo bianco che compongono l’installazione proposta. Le tredici statue raffiguranti bambine dall’aspetto efebico, a grandezza naturale, con le mani ammanettate dietro la schiena, portano a riflettere sulle libertà individuali, su quella forma di controllo sociale che ammanetta le coscienze, impedendo a tutti di liberare la propria creatività e ai giovani di diventare naturalmente e felicemente adulti.

 


 

MANFREDONIA - CASTELLO SVEVO ANGIOINO

 

LUOGO: MANFREDONIA - CASTELLO

 

 BRACO DIMITRIJEVIC (Sarajevo–Bosnia Erzegovina,1948. Vive tra Parigi e New York)

Pioniere dell’arte concettuale è diventato celebre negli anni '70 grazie alla serie Passante Casuale, composta da giganteschi ritratti fotografici di persone anonime, esposti sulle facciate di importanti edifici o al posto di cartelloni pubblicitari delle città europee ed americane. Dimitrijevic ha imitato anche altre forme di celebrazione, quali monumenti ai passanti e targhe commemorative a semplici cittadini ed ha incorporato nelle sue installazioni dipinti originali presi in prestito dalle collezioni dei musei. La sua dichiarazione " Il Louvre è il mio studio, la strada il mio museo ” esprime la natura dialettica e trasgressiva delle sue opere ed il suo trattato teorico “Tractatus Post Historicus” (1976), ha esercitato un'influenza notevole su due tendenze artistiche contemporanee: la pratica critica negli spazi pubblici e l'intervento nelle collezioni dei musei. Tra i premi internazionali: nel 1978, è insignito del Major Award dell’Art Council of Great Britain e nel 1992 viene nominato a Parigi Chevalier des Arts at des Letters. Il suo lavoro è stato esposto nei più importanti musei internazionali e in grandi eventi espositivi. Tra le installazioni recenti si ricorda “Les Champs de la sculture”, l’esposizione di due enormi foto sugli Champs Elysées di Parigi nel 2000 ed, in Italia, nel bosco della Certosa di Padula, la scultura "Post historic landmark": realizzata in pietra di Apricena, riporta un’iscrizione dorata, incisa in inglese e in italiano: “If one looks down at earth from the moon, there is virtually no distance between the Louvre and the zoo".

 

Nel castello di Manfredonia l’artista installa una serie di raffigurazioni di grandi dimensioni, riferite a tre importati personalità delle avanguardie storiche del primo ‘900, interagendo con la storia e le tradizioni locali legate al mare. L’opera è realizzata  in collaborazione con i cantieri navali di Manfredonia.

 

 LUIGI ONTANI (Vergato di Bologna – Italia, 1943. Vive tra Roma, il villino RomAmor di Grizzana Morandi e l'Oriente.)

Il suo motto è "Viva l'Arte!". Da oltre trent’anni esprime un’estetica basata sul principio del piacere e dell’esaltazione della bellezza, mutuando mitologie d’oriente ed occidente, icone della storia dell’arte e spunti letterari, inserendo nell’opera particolari dal forte valore simbolico e metaforico, creando un colorato universo giocoso, opposto alla contemporanea ideologia del progresso ed etica del dovere. Ontani ha anticipato le moderne ricerche sulla simulazione e le identità mutate usando anche se stesso, con la pratica della performance e del travestimento, attraverso tableaux vivants, fotografie ritoccate, ibrìdoli di cartapesta e maschere, soffermandosi sul tema del gioco con gli oggetti pleonastici, calchi di oggetti quotidiani dai colori vivaci, componendo poesie caratterizzate da neologismi e giochi di parole ispirate alla letteratura surrealista e alla poesia contemporanea. Produce cortometraggi (Biennale di Venezia del 1972) e dopo il 1974, quando  compie il suo primo viaggio in India, suggestioni orientali caratterizzeranno la sua produzione. Produce apparati d'arredo e costumi, accessori indispensabili alla sua vita di performer e si muove tra i labirinti arborei creati per Les jardins a Villa Medici. Nel 1982 il Guggenheim Museum di New York acquisisce Le tre grazie mummie. Nel 1995 è invitato al Padiglione Italiano della Biennale di Venezia. Negli ultimi anni il P.S.1 di New York gli ha dedicato una retrospettiva, come il Museo Napoleonico, la cui scultura-simbolo è diventata la ceramica policroma NapoLeonCentAurOntano.

Luigi Ontani, interagendo con il museo archeologico del castello, esporrà una doppia icona: l’autoritratto “Cavalier d’Arte”, quasi a far da surreale sentinella al luogo antico e un pregiato mascherone multietnico “OrcOro Ciclope ” in dialogo con la collezione permanente di reperti antichi.

 

 PIETRO CAPOGROSSO (Trani/Ba-Italia,1967.Vive tra Trani e Milano)

Le sue opere sono state definite ''architetture della sensibilità'' (ABO). La ''pittura di atmosfere'' di Capogrosso racconta la terra di Puglia. Un’iconografia spogliata del concreto riferimento al luogo e costruita secondo lunghi piani di fuga, con una veste pittorica dalla partitura modulata su eteree tonalità pastello, al limite della monocromia e bidimensionalità, dove i paesaggi affiorano come immagini rarefatte impresse nella memoria. Una pittura colta - carica di riferimenti all’arte del ‘900 - i cui temi sono orizzonti, bunker, moli, alberi spogli, montagne di sale, pali della luce, vecchi segnali stradali. Capogrosso progetta anche tarsie lignee ricamate con preziose essenze profumate (frassino, perobarosa, tulipié, zebrato, avorio brasiliano) e negli ultimi lavori introduce la novità del "ritratto", con i volti di Ettore Majorana e Pier Paolo Pisolini. Una qualità propria di Capogrosso è non cedere ad un facile lirismo, quanto invece mantenere nel ritratto, come nel paesaggio, un’asserzione concettuale chiara e coerente. Tra le mostre recenti la personale “La luce negli occhi” a cura di Achille Bonito Oliva. Caporosso è presente nella collezione “Arte italiana per il XXI secolo” del Ministero degli Affari Esteri, presso il Palazzo della Farnesina a Roma.

A Manfredonia esporrà una galleria di opere ispirate a paesaggi e scorci locali, toccati da luci mediterranee, dal caratteristico tratto e nuances.

 BOTTO E BRUNO (Gianfranco Botto – Torino, 1963; Roberta Bruno – Torino, 1966. Vivono a Torino)

 

Video ed installazioni di Botto e Bruno narrano di esistenze nascoste tra nebbie e paludi delle periferie urbane. Nei primi lavori del ‘92-’93 - libri fanzine autoprodotti - immagini di luoghi abbandonati in bianco e nero accompagnano testi tratti dai giornali. Nel ‘95-‘96 realizzano le prime installazioni ambientali con gigantografie in laserprint di fabbriche dismesse e di strade sterrate, interventi esterni su cartelloni pubblicitari o elettorali con la finalità di comunicare anche ad un pubblico differente rispetto a quello canonico di musei e gallerie. Nel 1999 per la mostra "fwd Italia: passaggi invisibili" realizzano "Suburb’s Island" un grande wall paper che si insinua come un virus nel Palazzo delle Papesse di Siena e nel 2000 realizzano un grande lavoro stampato su pvc all’esterno della Fondazione Teseco per l’Arte di Pisa e due grandi wall paper per il Centro d’arte Contemporanea di Quimper e al Palazzo delle Esposizioni a Roma (“Under my red sky”). Nel 2001 sono presenti alla Biennale di Venezia.A concrete town is coming”, uno degli ultimi progetti, illustra le trasformazioni subite dalle città contemporanee - registrata anche dalla sequenza fotografica “Before the concrete town” – segnate dall’addio per alcune tipiche architetture di periferia, luoghi privi di valore economico ma dal forte senso di appartenenza e di identità per i propri abitanti, quinte urbane dove la memoria della loro infanzia si è proiettata e conservata.

A Manfredonia, nella piazza d’armi del castello, è ricostruita - quasi fosse un miraggio- l’architettura effimera del cinema di seconda visione (una volta struttura e punto di aggregazione tipici del paesaggio urbano, via via distrutti o riutilizzati per altri scopi) A concrete town is coming” in cui sarà proiettato il video A concrete town, dove sono i bambini a riappropriarsi dell’area di parcheggio appena asfaltato fra fumi infernali. Fanzine e affiche riferiti alle banlieues parigine coprono i muri del ricostruito cinema Continental. Il recupero delle fanzine rappresenta proprio la necessità di una comunicazione alternativa intorno a questi accadimenti. Costruire, con i frammenti di giornali, frasi quali: “La ‘feccia’ / ha rovinato la festa ad un sistema / politico chiuso in se stesso”. Oppure: “I giovani delle banlieues / appaiono come / i discendenti degli schiavi / importati con la forza”. Smontare l’informazione per riorganizzarla, dando un altro o addirittura il vero senso nascosto fra le righe.

 

 


MONTE SANT’ANGELO - CASTELLO NORMANNO- ANGIOINO - ARAGONESE

 

LUOGO: MONTE SANT’ANGELO- CASTELLO

  JAN FABRE (Anversa, 1958)

Fulcro della sua attività è la volontà di collegare costantemente il campo scientifico con quello artistico, definito da Fabre stesso, “la grande avventura della mente”. La sua produzione risente della tradizione pittorica e dell'immaginario classico fiammingo, filtrato attraverso la sua sensibilità, ed ha come costanti le parole-chiave "labirinto" e “bellezza". Ogni mezzo e tecnica è usata da Fabre per esplorare il mondo e le emozioni: teatro, arte, cinema, danza e scultura, dall'inchiostro di china alla penna biro, dal proprio sperma al proprio sangue. Il linguaggio del cinema, fatto di movimento e tempo, è uno dei mezzi preferiti: dal '77 ad oggi, le immagini spiazzano, contengono le cifre della follia, dell'incubo, dell'angoscia e del sogno – alludendo sempre al ciclo di nascita-vita-morte-rinascita - mostrando analogie con le sue pièces teatrali. L’interesse per il mondo degli insetti -suo nonno Jean-Henry era un entomologo - lo portano ad utilizzarli come metafore dell'esistenza umana: memorabile è l’intervento permanente sul soffitto della sala degli specchi del Palazzo Reale di Bruxelles, decorato con il guscio di almeno un milione di scarabei. Sarcastico e pungente, mette in atto provocazioni verso il mondo canonizzato dell'arte, specie ne “L’incontro” con Ilya Kabakov e nella serie di disegni "Historische Wonden" (“Ilad of the Bic-Art”), dove le riproduzioni di quadri celebri sono ricoperti con inchiostro di penna biro. Raffinate ed inquietanti sono le sculture polimateriche, come il Cadavere conditus o I cervelli di mia madre e di mio padre. Presente in numerosi forum internazionali, in Italia la GAM di Bergamo ne ha celebrato l'attività con la retrospettiva "GAUDE SUCCURRERE VITAE” con oltre 200 opere e 10 film.

Negli spazi del Palazzo, nelle stanze adiacenti alla sala del tesoro , sono ospitati quattro gufi, “I messaggeri decapitati della morte”, adagiati su una base vestita di lino e pizzo, dallo lo sguardo vitreo ma umano, ed una serie di disegni, Je suis sang, 2001; è proiettato il video Lancelot (2004) a grandezza naturale.

 

 PINO PIPOLI (Bari, 1962. Vive a Milano)

 

Dopo diversi anni in terre germaniche, vive ora nel Paese dei Balocchi. Gli spetta il ruolo di latitante interprete della realtà, attraverso strumenti di conoscenza diversi, assegnando alla musicalità del verso il potere di suggerire la realtà impalpabile. La sua ricerca sinestetica spaziale, si sviluppa in reazioni di azioni, sciogliendo racconti in favole e scienza, tra visioni scenografiche e sonore. Fonda a Colonia CHBP nel 1994, a Milano LOVERSCLUB nel 1999, VOLUMI - ambienti e disegno sonoro nel 2004 e MANUAL - informazione e immaginazione nel 2006. L’ultima installazione a Tokyo, nello nuovo spazio Emilio Pucci. Attualmente partecipa al triennio universitario sperimentale di musica elettronica e nuove tecnologie del suono, al conservatorio di Como.

 

Negli angusti cunicoli che portano alla Sala del Tesoro, suoni catturati dal vento si accompagnano ad effetti-sorpresa di fuoco e fumo, un “gran tour” rievocazione onirica dell’originario uso del luogo, con postazioni di osservazione e combattimento.